• Nel momento in cui le proteste infiammano gli Stati Uniti e il mondo intero, nell’occhio del ciclone sono finiti anche noti brand.
  • Aunt Jemina, Uncle Ben e Cream of Wheat da sempre utilizzano “testimonial” afroamericani stereotipati.
  • Queste immagini sorridenti e compiacenti servirono agli albori dei marchi per edulcorare la realtà della schiavitù.

 

Nel momento in cui sto scrivendo questo post, sui social ha trovato terra fertile una nuova ondata di sgomento: HBO Max ritira “Via col Vento” – momentaneamente e per permettere l’inserimento un disclaimer che sia in grado di contestualizzare l’epoca storica nel quale è ambientato il film (che probabilmente verrà fatto da un esperto di storia e cultura afroamericana) –  un classicone della filmografia mondiale.

La decisione del broadcaster è dovuta all’impatto globale che hanno avuto l’insensato omicidio di George Floyd e le manifestazioni mondiali nate in seno al movimento attivista internazionale Black Lives Matter (movimento che non nasce dall’omicidio Floyd ma in risposta all’assoluzione dell’assassino di Trayvon Martin, vi rimando al sito ufficiale dell’associazione per conoscerne meglio la storia).

LEGGI ANCHE: Il revisionismo ai tempi dello storytelling e le scelte dei Brand sugli errori del passato.

Sotto accusa anche le opere d’arte: primo bersaglio diverse statue di schiavisti e coloni che sono state abbattute negli U.S.A. (anche quella di Cristoforo Colombo) e nuovi bersagli in tutto il mondo. A Milano viene messa in discussione (e imbrattata) la statua di Indro Montanelli, ubicata nel parco stesso che porta il suo nome, mentre a Londra pare abbiano già messo sotto teca protettiva quella di Winston Churchill in attesa delle prossime manifestazioni.

Ma mentre il dibattito verte su censura vs atto obbligato, il problema razziale nella cultura e nell’intrattenimento si esaurisce qui?

Personalmente ritengo che la storia non vada né revisionata né cancellata; sarà banale ma da lei si può solo imparare e migliorare, ma per farlo bisogna conoscerla. E l’intento di questo post non è quello di sposare uno schieramento ma fare luce proprio sulla storia di tre particolari loghi.

Alla fine la pubblicità è anche cultura, quella in cui nasce e quella che crea.

black lives matter
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Cosa succede nella comunicazione dei brand?

Nei giorni scorsi molti brand, nazionali, internazionali, grandi o piccoli hanno preso posizione soprattutto sui social, dove (spesso senza contesto e slegati da qualsiasi narrazione di marca) sono state pubblicate immagini completamente nere, a sostegno della protesta.

E mentre la catena di supermercati svizzera Migros ritira dagli scaffali i “Moretti”, c’è anche chi con la “nostalgia” e sulla mitizzazione decontestualizzata dei suoi testimonial, soprattutto sugli scaffali dei mass market, continua a contribuire alla consistenza di alcuni brand.

LEGGI ANCHE: Politicizzare un Brand: istruzioni per l’uso

C’è chi cambia e chi no: da Land O’Lake ad Aunt Jemina

Black Lives Matter anche in pubblicità o ci sono ancora brand in odore di nostalgia?
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Il brand Land O’Lakes ha scelto di eliminare la donna nativa americana che offre del burro dal suo logo, segnando la fine di una testimonial controversa con quasi 100 anni di storia alle spalle, eliminando una “testimonial scomoda”, soprattutto alla luce della sempre maggiore presa di coscienza da parte del pubblico.

Ma quelli che probabilmente sono gli esempi più eclatanti di testimonial che potrebbero (o dovrebbero?) essere discussi sono tre: Aunt Jemina, Cream of Wheat e Uncle Ben, brand creati in un anfratto della storia, tra la Guerra Civile americana e il Civil Right Act.

Scott vs. Sandford: quando stereotipo e discriminazione nascono in un’aula di tribunale

Facciamo un passo indietro: perché questi tre brand dovrebbero essere incriminati, perché utilizzano testimonial di colore? No, è perché hanno pescato a piene mani negli stereotipi razziali, tutto in regola e con il pieno favore della legge.

Secondo un post pubblicato nel blog dello Smithsonian National Museum of African American History and Culture, l’incentivo all’utilizzo di figure caricaturali nella cultura popolare a danno della comunità afroamericana (inclusa la Mami interpretata da Hattie McDaniel e della quale Aunt Jemina è un’omologa), affonda le sue radici nelle aule di un tribunale.

Gli stereotipi sugli afroamericani sarebbero infatti cresciuti dopo la decisione – nel 1857 – del giudice della Corte Suprema Roger B. Taney, che nel caso “Dred Scott vs. Jhon F.A. Sandford”, sentenziò che le persone di origine africana non fossero cittadini statunitensi e non avessero diritto di adire a un tribunale federale.

La storia di Aunt Jemina

Ieri, , stando a quanto riportato da Usa Today, la Quacker Oats, proprietaria del brand, ha ritirato dal mercato il logo che – per sua stessa ammissione – rappresenta uno stereotipo razzista.

Black Lives Matter anche in pubblicità o ci sono ancora brand in odore di nostalgia?
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“Zia Jemina” è una vera e propria istituzione in America che nasce dalla tradizione orale, e che è stata resa popolare dagli spettacoli per menestrelli dopo la Guerra Civile.

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Marilyn…


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