Partiamo dalla fine: Facebook, Twitter, Instagram e Snapchat hanno intrapreso azioni senza precedenti e hanno bloccato il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, reo di aver aizzato i manifestanti che hanno preso d’assalto Capitol Hill. Una soluzione probabilmente coerente, considerata la pericolosità delle parole di Trump (che comunque hanno avuto tempo e modo di arrivare a milioni di persone).
C’è un aspetto di questa storia, però, che sta ponendo grossi interrogativi fra gli analisti. E cioè il dubbio che ogni azione intrapresa sia arrivata troppo tardi. Perché che Trump abbia sguazzato per anni nella giungla dei social media è un fatto assodato. E prima di maggio 2020 (quando Twitter etichettò per la prima volta un tweet del tycoon come “fuorviante”), i messaggi di Trump – anche quelli palesemente ingannevoli – non avevano trovato alcun ostacolo, arrivando a milioni di follower e senza alcun contraddittorio.
Allora proviamo a ragionare su questo tweet di Christopher Wylie:
These people were all radicalized on Facebook. This event was organized on Facebook. This violence is an inevitable manifestation of the conspiracy, vitriol and hate fed to people daily on Facebook. pic.twitter.com/fgiIMzb8fd
— Christopher Wylie ?️? (@chrisinsilico) January 6, 2021
Wylie è il whistleblower che un po’ di tempo fa fece scoppiare il caso Cambridge Analytica. Rispetto all’assedio di Capitol Hill, Wylie sostiene che Facebook abbia una responsabilità enorme: “Queste persone sono state tutte radicalizzate su Facebook. Questo evento è stato organizzato su Facebook. Questa violenza è una manifestazione inevitabile della cospirazione, del vetriolo e dell’odio nutriti quotidianamente su Facebook”.
Cosa è successo in questi mesi
Trump ha utilizzato Twitter e Facebook prima per vincere le elezioni contro Hillary Clinton, poi per comunicare coi suoi elettori (in una campagna elettorale perenne) durante gli anni del suo…
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